Storie di italiani che tornano a casa – Giulia Ferrero

Agevolazioni fiscali, small talk e rituali quotidiani, e la scoperta che la dimensione di quartiere, in fondo, può essere molto piacevole. Il rientro di Giulia Ferrero, quasi 10 anni fuori fra Olanda e Italia, si potrebbe riassumere così.
Ma nella sua storia c’è molto di più: la voglia di imparare, crescere professionalmente e trovare nuovi posti da chiamare casa. Con uno sguardo apparentemente leggero, che fa sembrare tutto possibile e alla mano.

🎙️Episodio #31 di ‘Storie di italiani che tornano a casa

Nel 2011,  ad un paio di esami dalla conclusione del suo percorso universitario in Economia presso l’Università di Torino, Giulia decide di cogliere l’opportunità di uno stage in Olanda e si trasferisce ad Amsterdam. Non le sembra vero di poter lavorare per un brand che la appassiona da sempre: Nike.

Lo stage si trasforma in un lavoro, Amsterdam diventa casa e passano  8 anni in cui Giulia amplia le sue skill in ambito Talent Acquisition – prima in Nike, poi in Booking.com

A metà 2018 le si presenta la possibilità di trasferirsi in una città che sogna da sempre, Londra, per scalare in Europa WeWork. Un “salto nel vuoto” che Giulia decide di accettare per sperimentare come si vive in una metropoli e con la speranza di sviluppare un “posh” British accent (spoiler: purtroppo non ce la farà mai 😅).

Nel 2020, in una intersezione di Covid e Brexit, decide di rientrare in Italia e “vedere come va”. E’ un tentativo, ma l’esito è felice: Giulia trova un’azienda che la assume come HR. Oggi è responsabile risorse umane presso Doctolib, azienda francese del settore health-tech che sta cercando di replicare il successo ottenuto oltralpe anche in Germania, Italia e presto in altri paesi europei.

Abbiamo chiesto a Giulia com’è stato ritornare dopo quasi 10 anni fuori:

1. Pensando al tuo rientro in Italia, c’è qualcosa che ti ha sorpreso in positivo?

A costo di apparire “venale” e considerando che sono rientrata nel 2020,  il beneficio fiscale per i rimpatriati mi ha effettivamente permesso di mantenere lo stile di vita che avevo vivendo fuori.

In termini non monetari, ho riscoperto il piacere delle “small talks” e dei rituali che, per mia esperienza, ci contraddistinguono un po’ come italiani: il caffè allo stesso bar la mattina, l’estetista di fiducia che sa tutto della tua vita sentimentale, il portiere del palazzo con cui commentare il tempo che fa. Ho imparato che essere un po’ abitudinaria non è necessariamente un difetto.

E poi mi sono accorta con piacere che, anche in una città come Milano, la dimensione del quartiere esiste più che a Londra ed è combinata ad una socialità mediamente più spiccata rispetto, invece, al contesto olandese che ho sperimentato.

2. C’è qualcosa che ti manca dell’estero?

Di Amsterdam, rispetto a Milano, mi manca la frugalità: se c’è il sole, si prende la poltrona del salotto, la si mette fuori dalla porta di casa e bastano due birre per passare una bella serata. Esiste anche una parola ,“gezellig”, che descrive il piacere della convivialità spicciola. La preferenza per il “basso profilo” è molto in linea con i miei valori e non nego che è stato causa di un po ‘ di disagio rientrando in Italia.

Di Londra mi manca il sentirmi al centro del mondo: è davvero una città “diverse” – nel senso di varia e variegata – e che mi sento di definire veramente tollerante. Descriverei Londra (nella mia esperienza pre-Brexit) come una città che accoglie tutti e nessuno, democraticamente: per me è stato davvero complesso adattarmi ai ritmi e allo stile di vita da metropoli, ma non mi sono mai sentita “fuori posto” o giudicata.

3. Pensa alla tua esperienza all’estero e al tuo ritorno e condividi una cosa che hai imparato. Oppure pensa un consiglio o un suggerimento che daresti a chi vuole partire, o a chi vuole tornare (a tua scelta).

Credo che il più grande insegnamento che ho tratto dalla mia esperienza personale e professionale all’estero è che per ogni problema esiste una soluzione e che lamentarsi oltre ad una certa misura consuma energie senza portare valore. Anche nella mia veste di professionista HR, il problem solving rimane per me la competenza più preziosa e utile. Pensate a quei colleghi/amici da cui sapete che riceverete un aiuto o almeno un buon suggerimento per risolvere un tema che vi affligge!

Per me, decidere a 23 anni di fare una esperienza all’estero è stato essenziale per mettermi a confronto con i miei limiti, guadagnare indipendenza, affrancarmi da un contesto comodo ma “stretto” rispetto a quello che potevo intravedere fuori. Ma decidere di tornare è stato altrettanto importante. Il mio consiglio è: non pensate che l’Italia oggi sia lo stesso Paese che era quando siete partiti. Sotto tanti aspetti le cose sono cambiate, ma soprattutto siete cambiati anche voi e il vostro sguardo sulle cose.

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