Storie di italiani che tornano a casa – Michela Galante

Tre mesi a Miami.

Che diventano sei anni di vita negli Stati Uniti.

La storia di Michela Galante è quella di chi parte per un tirocinio e si ritrova a conseguire un dottorato, a insegnare, a fare ricerca.

E di chi decide di tornare in Italia.

Perché, come dice lei stessa, per scoprire il giusto valore delle cose a volte occorre sentirne un po’ la mancanza.

🎙️Episodio #25 di ‘Storie di italiani che tornano a casa

Michela ha poco più di trent’anni e viene da un piccolo paese in provincia di Venezia. Durante la laurea magistrale in Relazioni Internazionali presso l’Università Ca’ Foscari Venezia, parte per un tirocinio al Consolato Generale d’Italia a Miami 🇺🇸. Doveva essere un’esperienza di tre mesi, ma quell’occasione cambia tutto.

Dopo la laurea e qualche lavoro temporaneo, Michela entra in un Ph.D. program in Teaching and Learning alla University of Miami, dove lavora come Teacher of Record e partecipa a progetti di ricerca finanziati dal National Center for Education Statistics.

Il 31 maggio 2023 consegue il dottorato ma in tasca ha già un biglietto di sola andata, datato 3 giugno. Destinazione: Italia 🇮🇹. Pochi giorni dopo inizia a lavorare come Data Analyst in Talents Venture, realtà italiana che scommette su di lei dandole la spinta per tornare a casa.

Oggi vive e lavora a Milano. E prova ogni giorno a trovare un equilibrio tra le sue due anime: “Too Italian for the USA, too American for Italy”.

Abbiamo chiesto a Michela com’è stato il suo trasferimento in Italia:

❤️ Dicci una cosa che ti ha sorpreso in positivo? Forse non mi ero mai davvero resa conto dei talenti che abbiamo noi italiani. Il nostro livello culturale medio è decisamente più alto rispetto a quello di molti altri Paesi: sappiamo conversare in contesti diversi, portando contributi di valore senza cadere nel sensazionalismo. Possiamo vantare eccellenze in ogni settore e siamo guidati da valori e tradizioni che ci rendono autentici, meno inclini al materialismo. L’Italia ha un potenziale straordinario – ma ho dovuto sentire la mancanza delle serate passate a parlare delle “cose vere della vita” davanti ad un buon bicchiere di vino per apprezzarne davvero il valore.

🌍 C’è qualcosa che ti manca dall’estero? Visto che per me l’estero significa USA, ciò che mi manca di più è sicuramente l’aria di opportunità che si respira lì. Il celebre “yes, we can” di Barack Obama non era solo uno slogan, è una forma mentis. Le soluzioni si trovano, la gente si butta (certo, complice anche una burocrazia notevolmente più snella). Persino nella bolla del mondo accademico in cui ho vissuto, con molti più vincoli rispetto ad una realtà aziendale, c’era estremo dinamismo. Anche insegnare all’università, quindi, mi manca. Ma so anche che alle condizioni in cui potevo farlo negli USA, non potrei farlo qui. In un Paese come gli USA cambiare lavoro, città, ritmo di vita è del tutto normale, c’è proattività e la zona di comfort moltigiovani non sanno nemmeno che cosa sia. Paradossalmente, in Italia, nonostante le mille risorse personali di cui parlavo prima, siamo spesso “paralizzati”. Tanti talenti rimangono inespressi: tendiamo a essere diffidenti, pessimisti, ad accontentarci. Meglio l’uovo oggi che la gallina domani. Ma la fortuna, si sa, aiuta gli audaci. E io credo fermamente nella necessità di più persone audaci che possano fare rete per cambiare le cose anche in Italia!

💡Una cosa che hai imparato o un suggerimento che daresti? La cosa più importante che ho imparato all’estero è l’arte di coltivare le relazioni umane. Partire mi ha messa di fronte alla necessità di ricostruire da zero una mia rete di supporto, far nascere legami che, con il tempo, potessero somigliare a una nuova famiglia – senza però che nulla fosse dovuto. Da lì ho iniziato a dare valore ai piccoli gesti che prima passavano inosservati. Ho capito che si riceve solo se ieri si è dato, e se domani si è disposti a fare lo stesso. Ho imparato a essere gentile, curiosa, ad ascoltare le storie di chi incrocia il mio cammino, perché chiunque, un giorno, potrebbe essere quella persona che ti tende la mano quando ne hai bisogno. In inglese si dice “It takes a village”, di solito riferendosi alla complessità di crescere un figlio. Io dico che “It takes a village” in generale, per vivere la vita. E quindi, il mio consiglio, sia per chi parte che per chi torna, è questo: investite tempo nelle relazioni. Coltivatele con cura. Siate disponibili, presenti, pronti ad ascoltare. Perché alla fine, non conta solo dove sei, ma anche – e forse soprattutto – con chi sei.

Grazie a Michela per esserti raccontata a Pietro! 🚀

Storie di italiani che tornano a casa – Michela Galante

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