Storie di italiani che tornano a casa – Virginia Pigato

“Pensavo di non tornare mai più. E invece ogni volta che rientravo in Italia sentivo il desiderio di riportare qui tutto quello che avevo imparato.”

Virginia Pigato ha 33 anni, è cresciuta a Torino, ha studiato in Australia dove ha vissuto per sette anni, ha fondato una startup e ha lavorato per otto anni – nel tech fino ad approdare nel venture capital.

Con lei abbiamo parlato di cosa significa davvero tornare, tra entusiasmo, pazienza e voglia di cambiare le cose.

🎙️Episodio #45 di ‘Storie di italiani che tornano a casa

Virginia cresce a Torino da madre dominicana e padre italiano. A 16 anni prende la decisione di trasferirsi in Australia, un Paese che la affascina molto anche per via dell’economia molto solida, con l’idea di lavorare nell’investement banking. Così due anni dopo si trasferisce Brisbane, dove studia economia alla Griffith University, e piano piano si appassiona ad altri argomenti più allineati ai suoi veri valori. Studia e legge moltissimo, approfondendo i temi della sostenibilità, del cambiamento climatico e del suo impatto su mercati e equilibri politici a livello macroeconomico, e esponendosi al mondo delle startup di cui si innamora.

Nel frattempo, capisce che dopo sette anni la permanenza in Australia ha fatto il suo tempo: dopo un’esperienza come founder in cui fa “tutti gli errori possibili che un founder alla prima esperienza possa fare” torna in Italia, nella sua Torino, che sta vivendo diversi cambiamenti e si sta aprendo sempre più all’internazionalità e al mondo dell’innovazione.

Inizia a lavorare in Scribit, una startup del gruppo internazionale CRA-Carlo Ratti Associati attiva nell’ambito della robotica e di progetti innovativi e allora in cerca una persona che sapesse guidarli lato finance e nell’esecuzione della produzione di 7,000 consumer robot. Virginia entra fra i primissimi dipendenti, in seguito a un aumento di capitale di 2M€, e nei mesi ne diventa co-founder e responsabile di tutta l’area Finance.

Nel 2020, per via di alcune difficoltà di business emerse durante il covid, si sposta in un’altra azienda del gruppo sempre nel settore della robotica, Makr Shakr, dove va a occuparsi di temi completamente diversi: guida il Marketing – dalla lead generation al product marketing, passando per la creazione di nuove partnership – concentrandosi principalmente sull’interazione uomo e robot consumer.

Grazie a un mentore che lavorava anche come Venture Capitalist, Virginia inizia a conoscere questo mondo finché, dopo un anno e mezzo e più di tre anni complessivi nel Gruppo, lascia il suo ruolo e inizia a occuparsi di venture capital – prima in Techstars e poi nel fondo americano Plug and Play Tech Center, specializzandosi in investimenti in robotica e aerospace.

Oggi Virginia vive e lavora a Torino ed è tornata in Techstars come Investor, a stretto contatto con startup da tutto il mondo che aiuta giorno dopo giorno a strutturarsi e crescere.
Abbiamo chiesto a Virginia com’è stato il suo rientro.

❤️ Dicci una cosa che ti ha sorpreso in positivo del tuo rientro.
Sono partita a 18 anni con l’idea di non tornare mai più in Italia: Torino mi sembrava troppo piccola, mancava tutto quello che cercavo e non riuscivo a immaginarmi un futuro qui. Dopo sette anni in Australia, però, mi sono accorta che ogni volta che tornavo provavo una curiosità crescente verso quello che stava succedendo a Torino. La città stava cambiando, iniziava ad aprirsi al mondo dell’innovazione, e questo mi spingeva a pensare: voglio riportare qui tutta la mia esperienza.
È stato sorprendente, perché ero convinta di non potermi mai riadattare all’Italia, e invece ho sentito una voglia fortissima di ridare qualcosa al mio Paese e di contribuire a un ecosistema che stava nascendo. Quella sensazione mi ha sconvolto, perché era l’opposto di come ero partita: da un lato non nostalgia, dall’altro una spinta positiva a rimanere e costruire qui.

🌍 C’è qualcosa che ti manca dall’estero?
Dell’Australia mi manca soprattutto quella libertà di essere una sconosciuta, di avere tutto ancora da scrivere. Lì nessuno sapeva chi fossi, potevo sperimentare senza la paura di fallire. E’ una sensazione legata anche all’età, perché ero molto giovane, ma è stata importante. Mi manca anche la semplicità e il pragmatismo nei processi di lavoro: in Australia tutto era più diretto, meno politico. Qui a volte le dinamiche sono più complesse e lente.
Dall’altra parte, però, quando ero via mi mancavano tantissimo i rapporti umani dell’Italia, la cura che c’è nelle relazioni personali. Questo è un aspetto che all’estero non ho trovato nello stesso modo, e che ho ritrovato tornando.

💡 Una cosa che hai imparato o un suggerimento che daresti a chi sta pensando di tornare.
Il mio consiglio è di accettare fin da subito che non sarà facile. Tornare in Italia significa convivere con la lentezza della burocrazia e con modi di pensare diversi, e bisogna fare un lavoro su sé stessi per riuscire a non farsi travolgere. Io non sono mai stata una persona paziente: se qualcosa non mi andava bene, cambiavo subito. Invece l’Italia mi ha insegnato che ci vuole tempo, e che a volte bisogna accettare di procedere più lentamente.
Un errore che vedo spesso è quello di confrontarsi continuamente con Paesi che hanno iniziato molto prima di noi: è deleterio, non ha nessuna utilità. Ognuno ha il suo percorso. Io stessa, teoricamente, non avrei mai dovuto fare venture capital, perché non rientravo nel “box” tradizionale, eppure oggi ci sono. Questo per me significa che le opportunità te le puoi creare, anche in Italia, se riesci a mettere da parte la negatività e a credere nel tuo percorso.

💩 Hai incontrato una difficoltà inaspettata nel rientro? Come l’hai affrontata?
Dopo tanti anni in Australia, è stata durissima. Tornare a vivere con i miei, risentire certe dinamiche, non riconoscere più i miei amici – perché nel frattempo erano cambiati, anche fisicamente in alcuni casi visto che ero partita che ero davvero piccola, e tutti avevano preso strade diverse – è stato davvero difficile. Mi sentivo una straniera a casa mia.
E allo stesso tempo avevo una foga incredibile di entrare nel mondo del tech, che in Italia allora era ancora molto elitario, con poche informazioni. Sapevo di volerci essere, ma non sapevo come. E quella fase di riadattamento, tra entusiasmo e spaesamento, è stata sicuramente la più dura.

🤝 Che tipo di supporto avresti voluto trovare al tuo rientro?
Mi sarebbe servito un supporto per capire come rivendere la mia esperienza, perché chi non è mai uscito non può capire davvero cosa significa uscire e poi tornare. Tornare è anche difficile psicologicamente: non hai l’autostima al massimo e non sempre riesci a raccontarti nel modo giusto.

Avere una community di persone che hanno vissuto la stessa cosa ti aiuta a non sentirti sola. E poi, più concretamente, avrei voluto sapere subito certe cose pratiche – come gli incentivi del rimpatrio dei cervelli – che ho scoperto solo dopo tre anni. Mi sarebbero bastate anche delle checklist o delle guide per non perdermi pezzi importanti.

Grazie Virginia per esserti raccontata a Pietro!

© 2025 Pietrotorna. Tutti i diritti riservati. P.IVA NL005193007B35 email: team@pietrotorna.it